Angel in disguise

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di: Annalisa Lundberg

Alla fermata dell’autobus di quella polverosa strada, c’erano solo due persone. Un uomo corpulento, di mezza età, calvo, il cui volto sembrava sempre sul punto di scappare verso il basso ad incontrare la pancia prominente, evidentemente sua promessa. Ed un giovane efebico, di età indefinibile, dai lunghi capelli pallidi, la pelle del colore del bronzo brunito e gli occhi chiari.

I due non si parlavano. L’uomo grasso leggeva un giornale, imprecando a bassa voce quando doveva voltare le pagine ingiallite, e tamponandosi continuamente il volto e la fronte con un fazzoletto che teneva nel taschino della camicia. Era stato costretto dal caldo ad allentare il nodo della cravatta, ma ancora non aveva rinunciato a tenersi la giacca, per quanto sentisse le gocce di sudore formarsi sotto le ascelle ed in mezzo alla schiena, scivolare giù, soffermarsi alla cintura e poi proseguire la loro corsa sulle gambe, in rivoletti che infradiciavano le calze e riempivano i mocassini. Ogni tanto, imbarazzato, lanciava di soppiatto uno sguardo al suo compagno di viaggio, che però non sembrava neanche aver notato la sua presenza. Rimaneva fermo sotto al sole, lo sguardo fisso nel punto dove sarebbe spuntata la corriera. Il giovane, in maniche di camicia di cotone e pantaloni neri, non sembrava sentire il caldo come l’uomo grasso. Non sudava, non imprecava. Non c’erano aloni scuri sulla sua camicia aperta. E i suoi occhi non sbattevano nella luce abbagliante e rugginosa del primo pomeriggio.
All’improvviso una nuvola di polvere si alzò dall’orizzonte tremolante per l’effetto di una fata morgana. Lentamente, la nuvola crebbe fino a diventare di ragguardevoli dimensioni, e si riuscì a intravedere anche il mezzo verniciato di arancio che l’aveva provocata. Ancora un poco di tempo, e ai due giunse anche il rumore ansimante del vecchio motore, ed il gemito degli ammortizzatori scassati. Solo a quel punto il giovane si mosse. Si diresse con calma verso l’uomo grasso che si stava affannando a ripiegare il giornale, gli poggiò una mano sottile sulla spalla, e sussurrò una parola. L’uomo grasso si voltò, il volto contratto da una smorfia di dolore, ma non riuscì a dire niente perché finalmente la sua faccia stava scivolando verso il basso a raggiungere l’amata pancia, che a sua volta correva verso i piedi. In breve, non rimase che uno scheletro in una pozza oleosa e maleodorante, e qualche frammento di stoffa che si bruciava placidamente al sole.

L’autobus si fermò, e il giovane cominciò ad arrampicarsi sulla stretta scaletta. Si sfilò la camicia, e dispiegò le sue ali nere, costellate di piccoli occhi violetti, con un gemito di soddisfazione. L’autista lo guardò, con le sue orbite vuote, ed il giovane gli rispose con un bel sorriso che metteva in mostra i suoi denti volpini, da predatore.
In fin dei conti, chi ha detto che gli Angeli sono buoni?

 

 

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