The Book of Souls: il ritorno in grande stile degli Iron Maiden

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di: Aurelio Montanucci

 

Dopo 5 lunghi anni tornano gli Iron Maiden con il loro attesissimo nuovo album “The Book of Souls”, un ritorno pieno di aspettative per tutti quelli che, come il sottoscritto, amano questa storica band.
I numeri di Book of the soul sono già epici di per sé: è il loro sedicesimo album, il primo doppio cd della band, 92 minuti di musica, che con il pezzo di chiusura Empire of the cloud di ben 18 minuti, supera come lunghezza la bellissima, ma non ancora eguagliata in questo, “Rime of the Ancient Mariner”.
E’ un album complesso, da ascoltare con attenzione: c’è la solita grinta ed energia del gruppo, ma con una linea di malinconia che lo attraversa interamente e temi musicali forse più cupi rispetto ai Maiden tradizionali. Dickinson probabilmente non è più la sirena urlante di un tempo e sui toni alti si sente, ma la giovinezza è fugace per tutti e Bruce, da grande artista qual è, compensa con la maestria tecnica e il vigore che ancora lo contraddistinguono. Un plauso in particolare per i chitarristi Smith, Murray e Gers qui particolarmente ispirati nella composizione dei soli, senza contare che Smith è coautore di ben 5 pezzi.

Il pezzo di apertura è “If Eternity Should Fail” di Bruce Dickinson, un piccolo preludio voce più sinth; quando arrivi al primo riff, se avevi dei dubbi riguardo il nuovo acquisto, sei presto tranquillizzato: energia, impatto e la voce del grande lead singer, non manca proprio nulla. Ottimo pezzo di apertura che coinvolge facilmente senza aver bisogno di altri ascolti; unica pecca la chiusura vocale effettata e accompagnamento ruffiano di chitarra che ti lascia un interrogativo: non era sufficiente così?
Il secondo pezzo è “Speed of the light”, brano estratto come singolo d’ uscita con relativo entusiasmante video, dove troviamo Eddie (mascotte del gruppo) riproposto in grafica pixel come nelle vecchie sale giochi. Accattivante al primo impatto, dopo aver ascoltato tutto l’album scopri che il riff fin troppo orecchiabile che lo contraddistingue fa sembrare il pezzo fuori contesto rispetto all’insieme.
Si prosegue con “The great unknown, una buona traccia, con un riff solido e soli graffianti che ti trascinano fino all’ultimo. Altra storia è la quarta traccia “The red and the black”. Brano interamente composto da Harris, è decisamente più complesso e articolato: ottimi spunti melodici e di struttura alternati a parti prolisse (il brano dura 13 minuti) che interferiscono sullo slancio della canzone.
Quinta traccia, “When the river runs deep”, dinamica, nervosa con ottimi riff e soli, ma soprattutto con un Dickinson che riesce a cantarla a tutta potenza. Interessante sarebbe un ascolto live.

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Chiude il primo cd “The Book of  Souls” : il brano si apre con un inconsueto arpeggio acustico per poi svilupparsi in un riff lento e solenne che dà un’impronta di epicità. Man mano la canzone si evolve in crescendo con l’alternarsi di un ritornello malinconico, fino ad arrivare alla lunga e bellissima cavalcata tipica dei Maiden che ti cattura del tutto e ti trascina verso un dolce finale acustico. Magnifica.

Il secondo cd si apre con “Death or Glory”. Brano che convince al 100%, in perfetto stile Maiden. Partenza in quarta marcia, Nicko che picchia duro, Harris che segna il tempo alla grande e le chitarre di Murray-Smith-Gers che si intrecciano in ottimi soli… ma soprattutto Bruce che riesce a dominare a piena potenza il tutto senza un cedimento.
Troviamo poi un brano, “Tears of a clown”, canzone dedicata all’amatissimo attore Robin Williams, un vero gioiellino a mio parere, un pezzo che non smetteresti mai di ascoltare.
Giungiamo alla fine di quest’avventura musicale con “Empire of the cloud”, il brano di 18 minuti interamente composto da Bruce Dickinson. Narrazione epica in classica formula Maiden: apertura lenta con melodia dolce di piano, fraseggi, parte strumentale e Dickinson che riprende il racconto nel finale. Il perfetto accompagnamento e chiusura per questo viaggio fra le nuvole.
Ergo, stiamo parlando di un bell’album, che ovviamente ha anche i suoi punti deboli, ma lascio all’orecchio e al gusto degli altri ascoltatori, fans o no, scoprire se sono stato obiettivo o meno. Chi segue la band da 30 anni come me, sa che c’è stato qualcosa da perdonare nella lunga produzione del gruppo britannico, ma con questo nuovo lavoro lo farà davvero volentieri.

 

Imago: Instagram

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